Saturday, April 28, 2012

Israele compie 64 anni!
«Quando sarò vecchio e perderò i capelli, fra molti anni, mi manderai ancora biglietti d’amore con gli auguri per il compleanno e una bottiglia di vino..». Insomma sarai ancora la mia gratificazione preferita, il mio narciso sentirà il bisogno indispensabile della tua esistenza... Chissà, «avrai ancora bisogno di me, mi nutrirai ancora, quando avrò 64 anni»...A ritmo più frenetico di quello dei Beatles i Churchill, gruppo rock israeliano in in questi giorni ha prodotto a sorpresa l’antica canzone. Perchè Israele da ieri sera festeggia per tutta la giornata di oggi il suo 64esimo anniversario, e i Churchill a suo nome cantano: Will you still need me? Hai ancora bisogno di me, come quando l’Onu disse «Yes» alla partizione cercando di restituire un senso morale alla sua esistenza, come quando Ben Gurion accettò e gli Stati arabi si lanciarono in guerra? Il mondo ha ancora bisogno di Israele? Crede in lui, nella sua indispensabilità, o potrebbe lasciarlo andare nelle fauci dell’islam estremo? È pronto ad affiancarlo di fronte ai pericoli che lo minacciano comprendendo che minacciano lui stesso? Will you still feed me? Gli porgerà la mano in questa fase di minaccia di distruzione? Ha ancora bisogno di Israele, la terra dei pionieri, della vita semplice e eroica, del sacrificio? E Israele porta ancora quel sè visionario e grandioso che ha riscattato il mondo intero dalla paura di essere divenuto il mostro che aveva divorato il popolo ebraico, suo padre, il suo fratello maggiore, l’inventore della coscienza, della storia etica di tutto il mondo Occidentale?Israele è un Paese felice nell’età matura, contento di ciò che ha saputo costruire col miracolo della volontà. Ieri sera è entrato nella sua 64esima puntata della gioia e della sorpresa di esistere come sempre con balli e canti dopo una terribile giornata, la solita di tutti gli anni: la sua determinazione al sacrificio...
da Il Giornale, 26 aprile 2012, Fiamma Nirenstein
postato da: http://viaggisraele.blogspot.it/

Monday, April 23, 2012


20 aprile 2012
Una lettera in Memoria dei 20 bambini di Bullenhuser Damm
Roma, 16 aprile 2012
Carissimi amici,
mi piace accompagnare questo viaggio rituale anche quest’anno. Non potendo farlo materialmente, a causa di impegni parlamentari, affido il mio pensiero e il mio sentimento a questo piccolo messaggio scritto che forse avrete l’amicizia e il piacere di leggere tra voi.
Se c’è una storia che lascia le intelligenze di pietra, che le paralizza alla soglia dell’indicibile, è la successione di fatti accaduti nel campo di concentramento di Neuengamme e, dopo, nella scuola di Bullenhuser Damm, nella notte del 20 aprile 1945. Aveva visto giusto Adorno, “scrivere poesia dopo Auschwitz è da barbari”. Credere nelle capacità della ragione dopo Bullenhuser Damm, sarebbe da insensati. Basta forse definire orrore, il destino riservato a quei venti bambini? Tragedia, aberrazione, follia, barbarie, schifo? Nessuno di questi termini basterebbe a riassumere l’impensabile di una storia che nega la definizione stessa che la tradizione millenaria dell’Occidente ha dato dell’uomo. Persino la nozione di “banalità del male”, oppure i ragionamenti sulla trasformazione antilluminista dell’Altro da fine in mezzo, la condanna dell’ideologia tecnologica e della modernità utilitarista, bastano a spiegare e a riassumere in una formula l’epilogo allucinante di una storia allucinante, in quella notte di aprile. Cosa c’è di
utilitaristico nell’appendere i corpi di bambini al muro, come quadri, secondo la dichiarazione Johann Frahm, uno degli esecutori materiali dell’omicidio in serie? All’oggettivazione dell’Altro si aggiunge un orrore estetico che marcia a falcate verso il nulla.
È questa serie di considerazioni, il fatto di un’atrocità ai molti sconosciuta, ma anche la presenza di un giovane italiano tra le vittime, il piccolo Sergio De Simone, di soli sette anni, eliminato anche lui dopo mesi di deliranti sevizie, ad averci spinto a presentare un disegno di legge per fare del 20 aprile di ogni anno un giorno della memoria. L’idea la si deve anche e soprattutto al lavoro di tutti voi. In particolare di Maria Pia Bernicchia, delle sorelle Andra e Tatiana Bucci, che di Sergio sono le cugine e che ringrazio per la loro tenacia e per la loro bellissima umanità. L’iter sta andando avanti e per il momento è approdato in commissione Affari costituzionali. Poi, si dovrebbe passare all’esame del Parlamento.
L’idea, ovviamente, è di promuovere il ricordo, ma anche di far conoscere ai più giovani questa storia. Mostrare il male per combattere la rimozione e fare in modo che non si verifichi mai più.

È il senso, anche, del vostro viaggio. In fondo, di fronte all’incommensurabile orrore, unica cosa possibile è rinnovare il senso dell’umiltà e ricordare quei venti bambini, uno a uno, nella singolarità umana che li riguarda: Lelka, di 12 anni, Surcis, di 11 anni, Riwka di 7 anni, Alexander, di 8 anni, Eduard, di 12 anni, Marek, di 6 anni, W. Junglieb, di 12 anni, Lea, di 8 anni, Georges-André, di 12 anni, Mania, di 5 anni, Bluma, di 11 anni, Jacqueline, di 12 anni, Eduard, di 10 anni, Marek, di 10 anni, H. Wassermann, di 8 anni, Eleonora, di 5 anni, Roman, di 7 anni,
Roman, di 12 anni, Ruchla, 9 anni e il piccolo Sergio, di appena 7 anni.
Ricordarli, proprio come ora state facendo voi.

Un saluto affettuoso,

Walter Veltroni

Wednesday, April 11, 2012

11 aprile 1987 11 aprile 2012

In ricordo di Primo Levi una Sua poesia

DATECI

Dateci qualche cosa da distruggere,
Una corolla, un angolo di silenzio,
Un compagno di fede, un magistrato,
Una cabina telefonica,
Un giornalista, un rinnegato,
Un tifoso dell'altra squadra,
Un lampione, un tombino, una panchina.
Dateci qualche cosa da sfregiare,
Un intonaco, la Gioconda,
Un parafango, una pietra tombale.
Dateci qualche cosa da stuprare,
Una ragazza timida,
Un'aiuola, noi stessi.
Non disprezzateci: siamo araldi e profeti.
Dateci qualche cosa che bruci, offenda, tagli, sfondi, sporchi
Che ci faccia sentire che esistiamo.
Dateci un manganello o una Nagant,
dateci una siringa o una Suzuki.
Commiserateci.


Primo Levi
Da Ad ora incerta Garzanti